Artista
Joan Fontcuberta nasce a Barcellona nel 1955, si laurea in Scienza dell'Informazione e insegna oggi Comunicazione Audiovisiva all'Università Pompeu Fabra di Barcellona.
Accanto alla carriera universitaria Fontcuberta alterna quella di pubblicitario, artista plastico, critico, storico, giornalista - nel 1980 fonda la rivista Photovision - e soprattutto quella di fotografo, affermandosi a livello mondiale a metà degli anni Ottanta: espone nei più importanti musei del mondo, quali il MoMA di New York e l’Art Institute di Chicago. Le sue opere sono presenti nelle collezioni di numerosi musei tra cui il Metropolitan Museum of Art, il San Francisco MoMA, lo Stedelijk Museum di Amsterdam, il Musée National d’Art Contemporain – Centre Georges Pompidou di Parigi e molti altri.
L’attività artistica di Fontcuberta si concentra principalmente sui temi della conoscenza, della memoria e della scienza, giocando tra veridicità e ambiguità, indagando con occhio critico gli aspetti documentaristici e narrativi delle immagini fotografiche e dei mezzi di comunicazione oggi in costante ed esponenziale evoluzione.
Raccontare la realtà attraverso le immagini in un’epoca in cui tutti, avendo a disposizione una fotocamera, sono divenuti produttori di immagini è la sfida di Fontcuberta che predilige un approccio antropologico: «Il post-fotografico non è uno stile, una tendenza o un movimento artistico. È un tipo di atteggiamento verso la fotografia. Noi produciamo immagini, o piuttosto le immagini producono noi? Le fotografie digitali non hanno corpo, sono ovunque e in nessun luogo simultaneamente, e per questo sono molto simili alle immagini mentali».
Attraverso queste parole dell’autore possiamo comprenderne a fondo tutta la produzione artistica. Maestro nel manipolare la fotografia, e di conseguenza la realtà, Foncuberta con i suoi progetti fotografici colpisce e destabilizza: con acuta ironia si prende gioco dei condizionamenti che derivano dall’educazione, dai dogmi imposti dai mass media.
Nei progetti Herbarium (1982), Fauna (1989), Constellations (1994), Sirens (2000), Fontcuberta non si confronta solo con la politica e la storia ma anche con la natura: sulla falsariga degli studi e delle raccolte che, dall’antichità passando per il Medioevo, catalogano il mondo vegetale, animale e cosmico, il fotografo diviene scienziato geniale e crea - attraverso l’assemblaggio di oggetti della quotidianità, resti fossili autentici, tracce di polvere, insetti spiaccicati e altri residui rimasti impressi sul parabrezza della propria auto - una serie di piante, animali, esseri mitologici e galassie tanto impossibili quanto affascinanti.
La suggestione dello spazio torna nel progetto Sputnik (1997), una parodia in cui l’artista veste i panni del giornalista che racconta la drammatica storia della prima iniziativa della Fondazione Sputnik durante la quale, in circostanze misteriose, si persero le tracce dell’astronomo russo Ivan Istochnicov i cui tratti fisionomici somigliano misteriosamente a quelli di Fontcuberta.
Offrendo una percezione distorta eppure plausibile della realtà, Fontcuberta riesce sempre a insinuare il dubbio sull’attendibilità della rappresentazione: “Non voglio essere presuntuoso, ma il mio lavoro è pedagogico. È la pedagogia del dubbio che ci protegge dal contagio della manipolazione”. Con un metodo che potremmo definire galileiano Fontcuberta invita gli osservatori ad abbandonare le convenzioni culturali che influenzano la nostra società, ed esplorare con sguardo critico e attento i confini tra realtà e finzione.
Con il progetto Googlegrams (2005) Foncuberta usa la fotografia considerandola come oggetto di comunicazione e quindi come costruzione concettuale. L’opera evidenzia quella capacità peculiare del medium fotografico di fermare il tempo trasformando un istante da fuggevole a eterno; ponendo inoltre l’interrogativo circa le modifiche introdotte dall’uso di Internet. Per questo Fontcuberta accenna alle riflessioni del filosofo francese Pierre Teilhar de Chardin, il quale mise a punto nella seconda metà del Novecento una teoria evoluzionistica basata sull’esistenza di una “noosfera” (cioè di una coscienza collettiva) costituita dall’interazione fra le menti umane: più le reti sociali sarebbero diventate complesse nel corso del tempo, più la “noosfera” avrebbe aumentato la propria consapevolezza. E, in questo senso, Internet ha rappresentato un ottimo viatico. Oppure no? Fontcuberta si diverte a insinuare il dubbio negli osservatori.
Il processo di creazione del “Googlegramma” è il seguente: Fontcuberta seleziona alcuni scatti della contemporaneità considerati icone, poi li riproduce come foto-mosaici assemblando una mole considerevole di immagini (dalle 8.000 alle 10.000) trovate da Google nel web. La ricerca avviene tramite una lista di parole scelte dall’artista e che, fungendo da filtro, producono non pochi incidenti di natura logica; una dopo l’altra tali immagini vengono ricomposte secondo criteri cromatici come fossero tanti pixel in modo da riprodurre la foto-icona scelta inizialmente. Tutto ciò avviene grazie all’uso di un software apposito (MacOsaix) messo a punto da Fontcuberta stesso e da alcuni collaboratori.
Qualche esempio: la foto del soldato Lynndie England che tiene al guinzaglio un prigioniero denudato ad Abu Ghraib a Bagdad è composta da immagini di persone citate nel Final Report of the Independent Panel, come l’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush o il segretario del Dipartimento della difesa Donald Rumsfeld. Il muro nella regione palestinese della Giordania occidentale è costituito usando immagini legate ai campi di concentramento nazionalsocialisti. Lo scatto con l’azione di Greepeace per salvare i delfini in acque contaminate è strutturata da foto legate alle multinazionali del settore chimico, molte delle quali sono ritenute responsabili dall’associazione di aver versato residui tossici negli oceani. E così via.
Tutto ciò mostra come certe foto, grazie all’immediatezza con cui ci vengono presentate e alla loro ripetizione ossessiva, vengano accettate come indiscutibili, mentre non sono altro che simulacri frutto di costruzioni spesso fallaci. E allora diventa chiaro come l’evoluzione della “noosfera” in reti tanto complesse quanto accessibili ha in sé delle falle: il mondo attuale ha subito un’invasione indiscriminata di notizie che non soltanto violano le norme di rispetto alla vita e alla privacy, ma saturano di segnali le nostre menti fino a produrre un rumore mediatico che ostacola il raggiungimento della conoscenza. Fontcuberta ancora una volta svela l’inganno e suggerisce di essere sospettosi, perché coltivare il dubbio è forse l’unico antidoto che abbiamo.