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Art for Peace Award



Nel 2017 l'Art for Peace Award è consegnato a Joan Fontcuberta.

Joan Fontcuberta nasce a Barcellona nel 1955, città dove si laurea in Scienza dell'Informazione e oggi insegna Comunicazione Audiovisiva all'Università Pompeu Fabra. Accanto alla carriera universitaria, Fontcuberta alterna quella di pubblicitario, artista plastico, critico, storico, giornalista - nel 1980 fonda la rivista Photovision - e soprattutto quella di fotografo, affermandosi a livello mondiale a metà degli anni Ottanta. Fontcuberta espone nei più importanti musei del mondo, quali il MoMA di New York e l’Art Institute di Chicago. Le sue opere sono presenti nelle collezioni di numerosi musei, tra cui il Metropolitan Museum of Art, il San Francisco MoMA, lo Stedelijk Museum di Amsterdam, il Musée National d’Art Contemporain – Centre Georges Pompidou di Parigi e molti altri.

L’attività artistica di Fontcuberta si concentra principalmente sui temi della conoscenza, della memoria e della scienza, giocando tra veridicità e ambiguità, indagando con occhio critico gli aspetti documentaristici e narrativi delle immagini fotografiche e dei mezzi di comunicazione, oggi in costante ed esponenziale evoluzione.

Raccontare la realtà attraverso le immagini in un’epoca in cui tutti, avendo a disposizione una fotocamera, sono divenuti produttori di immagini è la sfida di Fontcuberta, che per farlo predilige un approccio antropologico: «Il post-fotografico non è uno stile, una tendenza o un movimento artistico. È un tipo di atteggiamento verso la fotografia. Noi produciamo immagini, o piuttosto le immagini producono noi? Le fotografie digitali non hanno corpo, sono ovunque e in nessun luogo simultaneamente, e per questo sono molto simili alle immagini mentali».

Attraverso queste parole dell’autore possiamo comprendere a fondo tutta la sua produzione artistica. Maestro nel manipolare la fotografia e, di conseguenza, la realtà, Foncuberta con i suoi progetti fotografici colpisce e destabilizza: con acuta ironia si prende gioco dei condizionamenti che derivano dall’educazione e dai dogmi imposti dai mass media.

Nei progetti Herbarium (1982), Fauna (1989), Constellations (1994) e Sirens (2000), Fontcuberta non si confronta solo con la politica e la storia ma anche con la natura. Sulla falsariga degli studi e delle raccolte che, dall’antichità passando per il Medioevo, catalogano il mondo vegetale, animale e cosmico, il fotografo diviene scienziato geniale e crea - attraverso l’assemblaggio di oggetti della quotidianità, resti fossili autentici, tracce di polvere, insetti spiaccicati e altri residui rimasti impressi sul parabrezza della propria auto - una serie di piante, animali, esseri mitologici e galassie tanto impossibili quanto affascinanti.

La suggestione dello spazio è al centro del progetto Sputnik (1997), una parodia in cui l’artista veste i panni di un giornalista che racconta la drammatica storia della prima iniziativa spaziale della Fondazione Sputnik durante la quale, in circostanze misteriose, si persero le tracce dell’astronomo russo Ivan Istochnicov, i cui tratti fisionomici somigliano misteriosamente a quelli di Fontcuberta.

Offrendo una percezione distorta eppure plausibile della realtà, Fontcuberta riesce sempre a insinuare il dubbio sull’attendibilità della rappresentazione: “Non voglio essere presuntuoso, ma il mio lavoro è pedagogico. È la pedagogia del dubbio che ci protegge dal contagio della manipolazione”. Con un metodo che potremmo definire galileiano, Fontcuberta invita gli osservatori ad abbandonare le convenzioni culturali che influenzano la nostra società, ed esplorare con sguardo critico e attento i confini tra realtà e finzione.

Con il progetto Googlegrams (2005) Foncuberta utilizza la fotografia in quanto oggetto di comunicazione e, quindi, come costruzione concettuale. L’opera evidenzia quella capacità peculiare del medium fotografico di fermare il tempo trasformando un istante da fuggevole a eterno, interrogandosi circa le conseguenze introdotte dall'avvento di Internet. L'opera è ispirata dalle riflessioni del filosofo francese Pierre Teilhard de Chardin, e in particolare dalla sua teoria evoluzionistica della “noosfera” (cioè la coscienza collettiva) costituita dall’interazione fra le menti umane: più le reti sociali diventano complesse nel corso del tempo, più la “noosfera” aumenta la propria consapevolezza. In questo senso, Internet avrebbe iniziato una nuova fase di espansione e integrazione della noosfera. Oppure no? Fontcuberta si diverte a insinuare il dubbio negli osservatori.

Il processo di creazione del “Googlegramma” è il seguente: Fontcuberta seleziona alcuni scatti "iconici" della contemporaneità; in seguito, li riproduce come foto-mosaici, assemblando una mole considerevole di immagini (dalle 8.000 alle 10.000) trovate nel web attraverso Google. Una dopo l’altra tali immagini vengono ricomposte secondo criteri cromatici, come fossero tanti pixel, in modo da riprodurre la foto-icona scelta inizialmente. Tutto ciò avviene grazie all’uso di un software apposito (MacOsaix) messo a punto da Fontcuberta stesso e dai suoi collaboratori.

Qualche esempio: la foto del soldato Lynndie England che tiene al guinzaglio un prigioniero denudato nel campo di Abu Ghraib in Iraq, è composta da immagini di personalità come l’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush o il segretario del Dipartimento della difesa Donald Rumsfeld. Il muro costruito nella regione palestinese della Giordania occidentale è formato usando immagini dei campi di concentramento nazisti. Lo scatto con l’azione della ONG Greepeace per salvare i delfini in acque contaminate è costruita con le foto delle multinazionali del settore chimico, molte delle quali sono ritenute responsabili di aver versato residui tossici negli oceani. E così via.

Tutto ciò intende mostrare come certe immagini, grazie all’immediatezza con cui ci vengono presentate e alla loro ripetizione ossessiva, siano accettate come indiscutibili, mentre in realtà non sono altro che simulacri, frutto di costruzioni spesso fallaci. E allora diventa chiaro come l’evoluzione della “noosfera” in reti tanto complesse quanto accessibili abbia in sé delle falle: il mondo attuale ha subito un’invasione indiscriminata di notizie che saturano di segnali le nostre menti fino a produrre un rumore mediatico che ostacola il raggiungimento della conoscenza. Fontcuberta svela l’inganno e suggerisce di utilizzare il sospetto come antidoto, perché coltivare il dubbio è forse l’unico strumento a nostra diposizione.
 

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