Negli ultimi 40 anni la
medicina è stata riscritta, tante sono le
ricerche e i
risultati che hanno portato a conoscenze davvero importanti tanto da poter oggi
individuare,
diagnosticare e
curare malattie che, quando io mi sono laureata, o non si conoscevano o se ne conoscevano solo alcune caratteristiche e la terapia era davvero molto arretrata. Abbiamo in questi decenni messo a fuoco metodi di diagnosi, conoscenze fisiopatologiche e modalità di cure impensabili e che ci sorprendono ogni giorno.
Abbiamo però trascurato un fatto importante: che le cose sono molto differenti se una malattia colpisce un uomo o una donna. La ricerca ha dato per scontato una uguaglianza e per alcune malattie ha trascurato completamente il genere femminile per altre quello maschile. Farò quindi 2 esempi di queste due fattispecie.
L’infarto del miocardio
La prima causa di morte delle donne è l’infarto del miocardio, ma nella coscienza comune si pensa che questo sia un problema principalmente maschile. Questo ha fatto sì che tutti gli studi degli ultimi decenni sulla malattia ischemica del cuore (dalla fisiopatologia, alla clinica, alla terapia) siano stati condotti su casistiche prevalentemente o completamente maschili. Invece a livello clinico la donna viene tardivamente riconosciuta, se colpita da un infarto, poiché non ha i dolori tipici (dolore gravativo al petto, irradiazione al braccio sinistro). Spesso la donna può non avere dolore, oppure avere dolori in altre zone: l’addome, la zona interscapolare, il braccio destro; oppure può non avere dolore ma solo grande stanchezza, nervosismo, lieve mancanza di respiro. Per cui la donna stessa cerca aiuto in ritardo e non viene subito riconosciuta come infartuata. La mortalità della donna con infarto prima e anche dopo l’arrivo in ospedale è superiore rispetto all’uomo, così come è superiore la mortalità dopo 6 mesi da uno stent o bypass. Inoltre la donna spesso non ammala le grandi arterie del cuore (le coronarie) ma il microcircolo (i piccolissimo vasi in cui si sfioccano la coronarie) che non si vede con l’esame coronarografico. Gli americani dicono che per la donna non si debba parlare di coronaropatia (CHD: Coronary Hearth Disease) ma solo di patologia ischemica di cuore (IHD: Ischemic Heart Disease). Ci son poi patologie del cuore, tipo la Sindrome di Takotzubo, la rottura del cuore e la dissezione coronarica, che colpiscono quasi esclusivamente il genere femminile. Anche i fattori di rischio per malattia ischemica di cuore hanno un impatto diverso nell’uomo e nella donna: il diabete, l’ipertensione, la sindrome metabolica e il fumo di sigaretta hanno maggiore impatto sul cuore delle donne che degli uomini. E non di poco conto sono anche le attenzioni terapeutiche da fare, tanto che si inizia a ragionare sulla necessità di scrivere delle linee guida differenziate per uomini e per donne.
Uomini: il caso osteoporosi
Al contrario il genere maschile è stato completamente trascurato per quanto riguarda l’osteoporosi, che sicuramente è più frequente nella donna sopra ai 50 anni, ma che incide anche nell’uomo sopra ai 60 anni e provoca fratture delle ossa lunghe e delle vertebre. Inoltre un uomo dopo una fattura di femore ha una mortalità più elevata rispetto a una donna. Eppure sono pochissimi gli uomini che fanno delle densitometrie ossee e altrettanto pochi quelli che assumono farmaci per l’osteoporosi, che sono peraltro stati sperimentati prevalentemente su casistiche femminili. Alcuni farmaci comuni sono degli “off label” per gli uomini.
Questi 2 esempi (ma se ne potrebbero fare tantissimi in tutte le branche della medicina) ci fanno capire come sia sbagliato parlare di medicina di genere, ma si debba parlare di medicina genere-specifica, poiché le differenze tra uomo e donna si ritrovano in tutte le specialità della medicina ed è giunta l’ora che le scuole di medicina, le scuole di specialità e la pratica medica e chirurgica quotidiana siano genere-specifiche.